È come il fuoco che si accende la notte di San Lorenzo in spiaggia. Il sole fa capolino all'orizzonte colorando il mare di rosa e arancio. Il fuoco intorno al quale hai trascorso la nottata non c'è più, eppure continui a fare attenzione a non calpestare la brace. Sai che ti scotteresti.
I ricordi della mia America li evito proprio come evito la brace la mattina dell'11 agosto. Sbaglio. So di stare sbagliando.
Forse avrei dovuto scrivere questo post tempo fa, come spesso mi ha ripetuto mia madre che sembra aver apprezzato parecchio questo blog, invece ho procrastinato (e non per mancanza di voglia).
Anche dicembre sta andando via, lasciando in me quell'incredulità che provi quando durante l'ora di matematica guardi l'orologio e, stanco della goniometria, realizzi che sono passati solo dieci minuti.
I ricordi degli Stati Uniti tormentano la mia mente, la distolgono da quella che è tornata ad essere, con immensa malinconia, la vita di tutti i giorni.
Questo post non lo scrivo dalla mia cameretta americana, quella con il parquet impolverato ed il letto a castello; non lo scrivo dal luogo che ho tanto amato quanto disprezzato (e mi rimprovero, perché parlare di disprezzo è così triste). Questo post lo scrivo seduto sulla poltrona della mia scrivania con il sottofondo della sigla del TG1; lo scrivo in treno; lo scrivo, ancora una volta, stravaccato sul divano del mio salotto.
"Don't cry cause it's over, smile cause it happend", scrivono alcuni exchange student alla chiusura dei loro blog.
Non piangere per me è stato impossibile. Vi racconterò di un'America contraddittoria, di un'America tanto sognata quanto condannata, tanto idolatrata quando odiata, perchè, la medaglia, ha sempre l'altra faccia.
Il lato oscuro dell'America si è presentato a me in modo tanto improvviso, violento e crudele, da sconvolgere la mia vita e cambiarne svariati aspetti.
La vita americana sembrava essere fatta per me; ero in un film, ero nel più bello dei sogni, vivevo intensamente ogni singolo giorno della mia avventura. Ma, ancora una volta, come dice la mia saggia mamma, quando tutto va troppo bene, devi aspettarti un fulmine a ciel sereno.
Mi sentivo oramai popolare nella mia high school, ero il ragazzo italiano che veste skinny jeans e cammina in modo cool. La gente mi salutava pur senza conoscermi, e i professori mi facevano domande sull'Italia. Ero l'italiano della Carrington High school e ne andavo fiero. Ogni giorno aspettavo con gioia la fine del quarto periodo, e non appena la campanella suonava, mi dirigevo verso l'armadietto per lasciare i libri e correre verso la mensa dove i miei amici mi stavano aspettando. Osservavo Candace mangiare la sua zuppa e parlare a bocca aperta; poi c'era Austin concentrato sulle sue patatine; ascoltavo Alli che mi descriveva il piatto del giorno; ridevo fissando Billy che rubava gli avanzi dai piatti degli altri; dopo il pranzo mi fermavo in corridoio a parlare con Aishlee, Jessica, Purple e altre sophmore (nessuno può immaginare quanto mi mancate). Si dice che farsi delle aspettative non sia che illusorio, eppure tutti hanno delle aspettative. Anche io ce le avevo e, sembrerà un'esagerazione, ma l'esperienza che stavo vivendo non stava per nulla deludendole.
È stato come toccare per mano, solo per un istante, la mia più grande ambizione e poi... boom, vederla sfuggire in in un istante ancora più breve e veloce. È stato come arrivare in cima, prendere fiato e poi precipitare verso il basso. "It's hard to swallow", avrebbe detto un americano... e lo avrei detto pure io che, mai quanto in quel periodo, mi sentivo per davvero parte di qualcosa...parte di quella America che stavo conoscendo.
Quel fulmine a ciel sereno è arrivato con tanta prepotenza, quasi a volermi dilaniare internamente.
Gli Stati Uniti sono quella nazione che tra bianco e nero non ci vede il grigio; che sa portare in alto i tuoi sogni, ma anche discriminarti; che si preoccupa più per la facciata generale dell'intero stato che per il singolo in quanto persona; che permette ad una coppia di omosessuali di metter su famiglia, ma che uccide per punire; che spesso se sei nero sei nella "merda" più di quanto non lo sarebbe un bianco; che crede in Dio, ma che ti permette di avere un fucile in casa e di usarlo quando ti pare e piace per fare una strage in un college o in un cinema; che "se stai male imbottisciti di psicofarmaci e falli prendere anche a tua figlia in crisi adolescenziale".
Ho vissuto da vicino alcune di queste contraddizioni presenti negli States, e per questo son tornato qui. A casa. A piangermi addosso per un sogno infranto. Forse avrei dovuto scrivere questo post tempo fa, come spesso mi ha ripetuto mia madre che sembra aver apprezzato parecchio questo blog, invece ho procrastinato (e non per mancanza di voglia).
Anche dicembre sta andando via, lasciando in me quell'incredulità che provi quando durante l'ora di matematica guardi l'orologio e, stanco della goniometria, realizzi che sono passati solo dieci minuti.
I ricordi degli Stati Uniti tormentano la mia mente, la distolgono da quella che è tornata ad essere, con immensa malinconia, la vita di tutti i giorni.
Questo post non lo scrivo dalla mia cameretta americana, quella con il parquet impolverato ed il letto a castello; non lo scrivo dal luogo che ho tanto amato quanto disprezzato (e mi rimprovero, perché parlare di disprezzo è così triste). Questo post lo scrivo seduto sulla poltrona della mia scrivania con il sottofondo della sigla del TG1; lo scrivo in treno; lo scrivo, ancora una volta, stravaccato sul divano del mio salotto.
"Don't cry cause it's over, smile cause it happend", scrivono alcuni exchange student alla chiusura dei loro blog.
Non piangere per me è stato impossibile. Vi racconterò di un'America contraddittoria, di un'America tanto sognata quanto condannata, tanto idolatrata quando odiata, perchè, la medaglia, ha sempre l'altra faccia.
Il lato oscuro dell'America si è presentato a me in modo tanto improvviso, violento e crudele, da sconvolgere la mia vita e cambiarne svariati aspetti.
La vita americana sembrava essere fatta per me; ero in un film, ero nel più bello dei sogni, vivevo intensamente ogni singolo giorno della mia avventura. Ma, ancora una volta, come dice la mia saggia mamma, quando tutto va troppo bene, devi aspettarti un fulmine a ciel sereno.
Mi sentivo oramai popolare nella mia high school, ero il ragazzo italiano che veste skinny jeans e cammina in modo cool. La gente mi salutava pur senza conoscermi, e i professori mi facevano domande sull'Italia. Ero l'italiano della Carrington High school e ne andavo fiero. Ogni giorno aspettavo con gioia la fine del quarto periodo, e non appena la campanella suonava, mi dirigevo verso l'armadietto per lasciare i libri e correre verso la mensa dove i miei amici mi stavano aspettando. Osservavo Candace mangiare la sua zuppa e parlare a bocca aperta; poi c'era Austin concentrato sulle sue patatine; ascoltavo Alli che mi descriveva il piatto del giorno; ridevo fissando Billy che rubava gli avanzi dai piatti degli altri; dopo il pranzo mi fermavo in corridoio a parlare con Aishlee, Jessica, Purple e altre sophmore (nessuno può immaginare quanto mi mancate). Si dice che farsi delle aspettative non sia che illusorio, eppure tutti hanno delle aspettative. Anche io ce le avevo e, sembrerà un'esagerazione, ma l'esperienza che stavo vivendo non stava per nulla deludendole.
È stato come toccare per mano, solo per un istante, la mia più grande ambizione e poi... boom, vederla sfuggire in in un istante ancora più breve e veloce. È stato come arrivare in cima, prendere fiato e poi precipitare verso il basso. "It's hard to swallow", avrebbe detto un americano... e lo avrei detto pure io che, mai quanto in quel periodo, mi sentivo per davvero parte di qualcosa...parte di quella America che stavo conoscendo.
Quel fulmine a ciel sereno è arrivato con tanta prepotenza, quasi a volermi dilaniare internamente.
Gli Stati Uniti sono quella nazione che tra bianco e nero non ci vede il grigio; che sa portare in alto i tuoi sogni, ma anche discriminarti; che si preoccupa più per la facciata generale dell'intero stato che per il singolo in quanto persona; che permette ad una coppia di omosessuali di metter su famiglia, ma che uccide per punire; che spesso se sei nero sei nella "merda" più di quanto non lo sarebbe un bianco; che crede in Dio, ma che ti permette di avere un fucile in casa e di usarlo quando ti pare e piace per fare una strage in un college o in un cinema; che "se stai male imbottisciti di psicofarmaci e falli prendere anche a tua figlia in crisi adolescenziale".
Agli Stati Uniti non interessa sapere le circostanze che ti hanno portato a determinate azioni o situazioni. C'è una costituzione, ci sono delle leggi; esse bastano per decidere del destino di un individuo. Una scritta su un pezzo di carta è sufficiente. La tua persona è secondaria, la tua vita non conta.
Non importa per quale motivo un ragazzo straniero, senza ancora la sim americana per poter effettuare chiamate e con la consapevolezza di dover seguire determinate regole, si trovi nel garage di casa di una conoscente circondato da ubriachi mai visti prima in vita sua. Non importa di chi lo difende, non importa cosa egli abbia da dire, non interessa nemmeno sapere se il ragazzo in questione sia vittima o trasgressore. Ciò che importa è quella legge, quella stupida regola da applicare senza alcuno scrupolo.
Se la persona in questione fosse vittima però, si va ad intaccare la tanto nominata dall'America felicità. E ancora altre contraddizioni.
Ricordo bene quella sera, quel senso di paura che sembra ormai, dopo quel momento, non avermi più lasciato. Ricordo l'arrivo di quella gente strana con alcolici in tasca, ricordo i loro visi assenti, ricordo i padroni di casa ballare con la vodka in mano, ricordo l'espressione del tipo per il quale, per un'improvvisa ed incontrollabile paura, ho ingerito quel goccio di birra.
Ricordo di quando si è sentito bussare alla porta, della polizia che è entrata, di quel panico che mi pervadeva, di quel numero... 0.001. Non è importato nemmeno di quel numero. Non è importato di nulla.
Ricordo ciò che è successo nei giorni seguenti. Lo ricordo ora e lo ricorderò per sempre. Alcune immagini non ci lasciano mai; forse la loro carica emotiva andrà via via scemando, ma quei ricordi saranno sempre lì, dentro di me... occupando disgraziatamente un posto d'onore nella mia mente.
Il buio della mia cameretta rispecchiava il mio umore. Fissavo per infiniti minuti la mia valigia, era ancora lì dove l'avevo lasciata quando ero arrivato. I battiti del cuore a momenti mi rompevano le costole. Quella valigia l'avrei dovuta riempire nel giro di pochi giorni. Non ci credevo. Volevo solo addormentarmi e svegliarmi quando tutto questo sarebbe terminato. Piangevo, pensavo di aver esaurito tutte le lacrime...e invece ora, con assoluta certezza, posso dire che di lacrime ne ho ancora tante.
L'arrivo del nuovo anno si avvicina e non posso che sentirmi nel luogo sbagliato, pieno zeppo di delusioni e voglioso come non mai di prendere un aereo e partire. Non so per dove, solo partire.
Lo scorso capodanno è stato particolarmente magico; era l'anno della partenza, della realizzazione del sogno.
Non posso dire che questa esperienza finita tanto tristemente mi abbia tarpato le ali. Direi, anzi, che il mio spirito esploratore, la mia voglia di conoscere e viaggiare il mondo si sia duplicata.
Partite, partite alla scoperta del mondo in cui viviamo. L'America mi ha insegnato tanto, mi ha insegnato che il viaggio ti fa sentire vivo. Per la prima volta ho sentito di stare vivendo intensamente. Ho ancora la pelle d'oca ripensando al momento nel quale, atterrando a Chicago, il mio sguardo ha catturato lo skyline della città elegantemente velato dalla nebbia. Non ero in un film; era la vita reale. C'eravamo solo io e la magia di quel momento.
Partite perché nient'altro saprà regalarvi simili emozioni.
Partite perché vi sentirete ricchi pur passando le notti in un hotel a tre stelle cadenti.
Partite perché la vita è troppo breve per essere trascorsa nello stesso luogo.
Partite perché il mondo è pieno di colori e sapori da scoprire.
Partite perché non c'è nulla di più bello che preparare le valigie.
Partite per aprire la vostra mente.
Partite perché non esiste luogo più magico di un aeroporto.
Partite senza pensarci due volte, senza pensare alla destinazione, liberi da pregiudizi e stereotipi.
Partite perché, in fondo, viaggiare è come sognare-
Ho imparato che sognare porta sofferenza. Ma la vita, proprio come la mia America, mostra sempre il lato oscuro di sé stessa, impossibile negarlo... tanto vale sognare.
"Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi"
I miei occhi sembrano essere ancora quelli verdi di sempre... eppure, guardandomi allo specchio, vedo un nuovo me. Eppure, guardandomi attorno, vedo un nuovo mondo.
L'arrivo del nuovo anno si avvicina e non posso che sentirmi nel luogo sbagliato, pieno zeppo di delusioni e voglioso come non mai di prendere un aereo e partire. Non so per dove, solo partire.
Lo scorso capodanno è stato particolarmente magico; era l'anno della partenza, della realizzazione del sogno.
Non posso dire che questa esperienza finita tanto tristemente mi abbia tarpato le ali. Direi, anzi, che il mio spirito esploratore, la mia voglia di conoscere e viaggiare il mondo si sia duplicata.
Partite, partite alla scoperta del mondo in cui viviamo. L'America mi ha insegnato tanto, mi ha insegnato che il viaggio ti fa sentire vivo. Per la prima volta ho sentito di stare vivendo intensamente. Ho ancora la pelle d'oca ripensando al momento nel quale, atterrando a Chicago, il mio sguardo ha catturato lo skyline della città elegantemente velato dalla nebbia. Non ero in un film; era la vita reale. C'eravamo solo io e la magia di quel momento.
Partite perché nient'altro saprà regalarvi simili emozioni.
Partite perché vi sentirete ricchi pur passando le notti in un hotel a tre stelle cadenti.
Partite perché la vita è troppo breve per essere trascorsa nello stesso luogo.
Partite perché il mondo è pieno di colori e sapori da scoprire.
Partite perché non c'è nulla di più bello che preparare le valigie.
Partite per aprire la vostra mente.
Partite perché non esiste luogo più magico di un aeroporto.
Partite senza pensarci due volte, senza pensare alla destinazione, liberi da pregiudizi e stereotipi.
Partite perché, in fondo, viaggiare è come sognare-
Ho imparato che sognare porta sofferenza. Ma la vita, proprio come la mia America, mostra sempre il lato oscuro di sé stessa, impossibile negarlo... tanto vale sognare.
"Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi"
I miei occhi sembrano essere ancora quelli verdi di sempre... eppure, guardandomi allo specchio, vedo un nuovo me. Eppure, guardandomi attorno, vedo un nuovo mondo.
Ora e per sempre,
- Andrea, exchange student in North Dakota, USA